La legge Codice Rosso, appena approvata dal parlamento, impone ai magistrati di sentire le vittime di violenza entro tre giorni dalla denuncia. «È un passo decisivo per fermare i femminicidi», spiega a Grazia la Ministra Giulia Bongiorno, che ha voluto il provvedimento. E qui spiega che cosa cambia con le nuove pene e come saranno aiutate le persone più isolate.

Indagini più rapide, pene più severe e l’obbligo da parte del pubblico ministero di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla denuncia alla polizia giudiziaria. Sono le principali novità introdotte dal Codice Rosso, la nuova legge che tutela chi ha subìto violenza domestica e di genere, approvata dal Senato mercoledì 17 luglio con 197 sì e 47 astenuti (tra cui Liberi e Uguali e Partito Democratico), e che prevede nuovi reati come il “Revenge Porn”, che riguarda chi si vendica pubblicando immagini intime senza consenso, e lo sfregio del volto. Vietati anche i matrimoni forzati.

Il nome dato alla legge richiama il codice con bollino rosso dato ai pazienti più gravi dei pronto soccorso. Con la differenza che, in questo caso, i rischi li corre solo il genere femminile. Sono infatti circa 120 le donne uccise in Italia in un anno (secondo gli ultimi dati elaborati dell’istituto Censis) e nella maggior parte dei casi chi uccide è il partner, o l’ex o un parente. Basterà Codice Rosso a fermare i femminicidi? E siamo davvero all’inizio di una rivoluzione culturale? Lo abbiamo chiesto a Giulia Bongiorno, ministra per la Pubblica amministrazione, che ha voluto fortemente la legge.

Qual è il punto forte di Codice Rosso?
«Codice Rosso rappresenta una svolta su una questione fondamentale: il tempo che intercorre tra il momento in cui le donne denunciano una violenza e quello in cui l’autorità giudiziaria si fa carico di verificare la gravità dei fatti denunciati. Un tempo che, spesso, fa la differenza tra la vita e la morte».

Le donne saranno più protette?
«Per anni mi sono occupata di violenza femminile. Il mio impegno è cominciato quando Michelle Hunziker e io abbiamo fondato Doppia Difesa, nel 2007. Tantissime donne denunciavano mariti, compagni e fidanzati, ma non riuscivano a ottenere alcun tipo di aiuto: anzi, la maggior parte di loro veniva massacrato più di prima. Ricordo tra i tanti il caso di Noemi Durini, esemplare perché testimonianza eclatante delle gravissime conseguenze delle denunce trascurate. Codice Rosso prevede che nessuna donna si senta più abbandonata».

I magistrati dovranno ascoltare le vittime entro tre giorni dalla denuncia. Ma la magistratura da anni lamenta carenza di organico.
«Nella legge di Bilancio, approvata prima di Codice Rosso, sono state stanziate nuove risorse per la giustizia. Ho previsto 10 mila nuove unità amministrative nel prossimo triennio e 990 magistrati in più».

Basteranno le pene più severe a convincere molte donne a denunciare le violenze e a farle sentire meno sole?
«Le norme introdotte dalla legge servono a porre fine a quello che chiamo “il tradimento dello Stato”. Il termine perentorio di tre giorni entro il quale la donna dev’essere ascoltata va in questa direzione. Ed è anche l’origine del nome di questa legge, che – proprio come avviene al pronto soccorso – ha natura d’urgenza. Se una donna è in pericolo di vita, il suo caso dev’essere preso in carico immediatamente. È prevista anche una specifica formazione per le forze dell’ordine: oggi ci sono eccellenze, ma la preparazione complessiva è a macchia di leopardo».

C’è chi sostiene che avete solo inasprito le condanne in modo plateale, mentre c’è molto altro da fare.
«C’è tantissimo da fare. Dobbiamo sicuramente ridurre i tempi dei processi penali, ma ribadisco che aver introdotto pene più severe significa soprattutto impedire che le sanzioni siano svuotate di senso. Oggi, facendo ricorso ai riti alternativi si ottengono sconti che riducono drasticamente le durate delle condanne».

Chi si è astenuto dal votare la legge ha detto che non sono state stanziate risorse sufficienti e che nella norma non si parla di prevenzione, di formazione delle forze dell’ordine, di assunzione di nuovo personale giudiziario, non si incentivano le associazioni anti violenza e non c’è un vero investimento sull’educazione.
«Polemiche sterili. Infatti non ci sono stati, alla fine, voti contrari. Proprio in queste ore stiamo lavorando a un piano di risorse da mettere in campo a sostegno di Codice Rosso, che è quanto di meglio si potesse fare a livello legislativo. Ho previsto una formazione specifica delle forze dell’ordine perché, come molte donne segnalano, le competenze e la preparazione nel gestire i singoli casi non sono le stesse in tutto il Paese. Con Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega alle Pari opportunità, abbiamo previsto anche un fondo anti-ostaggio di 2 milioni di euro, destinato a quante subiscono violenza in modo sistematico ma non sono indipendenti economicamente: non sanno dove andare, non hanno un lavoro e, dunque, sono ostaggio del proprio aggressore. Non tutte vogliono trasferirsi in una casa-rifugio, alcune poi non lavorano da anni e devono reinserirsi. Cercheremo di accompagnarle in questa fase di transizione verso nuove opportunità offrendo, per esempio, corsi di formazione».

Il problema andrebbe gestito intervenendo culturalmente anche sui ragazzi. Ha in mente un piano?
«Non mi illudo di porre fine alla violenza sulle donne con questa legge, è evidente che una norma non può da sola cancellare secoli di discriminazioni. Come ministro per la Pubblica Amministrazione introdurrò tra i criteri di valutazione dei dirigenti anche la capacità di garantire conciliazione famiglia-lavoro e ho emanato una direttiva che prevede l’obbligo di formazione contro la violenza di genere. Ma bisogna innanzitutto rafforzare tutto ciò che riguarda l’educazione, a partire dall’età scolare. Dev’essere chiaro sin dalla più tenera età che le donne non sono esseri inferiori».